Questa serie in evoluzione esplora una visione distorta del sogno americano e rappresenta un’architettura dell’inconscio. La realtà è percezione e ciò che consideriamo normale, non è normale, in realtà; è strano, è bizzarro, è oscuro, è insensato. Sono quelle cose “normali” a meritare di essere osservate e sognate.
Dopo essermi trasferito in una nuova città, gli spazi nei quali mi sono ritrovato mi risultano del tutto estranei – e tramite la sperimentazione visiva – cerco di rivendicare una qualche forma di proprietà sul nuovo ambiente che mi circonda. Sfruttando la mia professione di designer architettonico per dar forma al mio mondo e a come viene percepito. In pratica queste opere sono spesso meditative, in quanto rappresentano la riconciliazione tra la città della fantasia e la cruda realtà della vita urbana.
Il tema centrale del progetto è quello dei ’simulacri e simulazioni’, o del confronto tra immagini, segni e di come entrano in relazione simultaneamente. Ognuno di noi si crea un’idea e nutre aspettative rispetto all’ambiente che ci circonda e, che lo ammetta o no, la nostra mente riempie gli spazi lasciati vuoti. Ricordi, esperienze e previsioni, tutto contribuisce inconsciamente ad articolare la nostra percezione della realtà. Questo progetto mira a sfumare i confini tra finzione e realtà.
Intervista a Eric Randall Morris Artmood: Se dovessi raccontare a qualcuno la storia della tua vita, da dove inizieresti?
Eric: La mia vita ha molti inizi, ma le cose hanno iniziato a prendere una piega davvero emozionante quando ho ricevuto la lettera di ammissione al Master di Architettura del MIT. Avevo 21 anni, mi trasferii da Atlanta a Boston, e vidi un mondo (il mio mondo) aprirsi davanti ai miei occhi. Penso sia stato allora che la mia vita sia entrata in molteplici nuove fasi e mi abbia spinto a percorrere strade che avevo sempre ritenuto fuori dalla mia portata.
Artmood: In che modo la tua formazione di architetto ha influenzato il tuo progetto An American Hyperreality?
È stata fondamentale – senza di essa credo che il progetto non sarebbe nemmeno mai esistito. La mia formazione di architettura mi ha aiutato a dare una direzione e ad articolare la mia curiosità. L’architettura mi ha fornito un occhio critico e i mezzi per esplorare i miei pensieri attraverso la sperimentazione visiva. Io ritengo che l’arte e l’architettura siano strettamente collegate; e la mia serie An American Hyperreality è un mezzo per esprimere questa relazione.
Artmood: Descrivi il tuo lavoro in tre parole.
Eric: Distopico / Metafisico / Onirico
Artmood: Com’è il tuo approccio all’opera e come avviene il processo creativo? Da dove trai ispirazione?
Eric: Io sogno di continuo e cerco sempre di portare questi sogni a una qualche forma di realtà. Cerco costantemente di abbozzare questi futuri; a volte non riesco a ricordare o ho difficoltà a riprodurli, ma quando si tratta di visualizzare, svolgo un processo molto iterativo. A volte è davvero faticoso, ma mi metto a sedere e mi butto a capofitto nella progettazione finché non mi sembra che sia finito. È come se tutti i mie progetti poggiassero su questo continuum e io stia semplicemente cercando di immaginare dove mi stiano portando.
Artmood: Oltre alla fotografia (e all’architettura), quali altre forme di espressività artistica prediligi?
Eric: Disegnare è la mia grande passione. Faccio schizzi e disegni di continuo, starmene seduto a produrre grandi disegni a mano libera per me ha come un valore di meditazione. Gravito verso composizioni molto minimali + astratte che vanno di pari passo con l’esplorazione geometrica e gli studi aggregativi. Sto sviluppando questa serie di disegni in seno a una collezione complete dal titolo ‘Circumscribed’ (“Circoscritto”) – al momento è in incognito, ma spero di condividere prsto con voi questa serie!
Artmood: Puoi citare un artista, un’opera o una serie di progetti artistici che ti hanno particolarmente influenzato/ispirato nel tuo lavoro di artista?
Eric: Per quanto riguarda l’architettura, Atelier Bow-Wow e Pezo von Ellrichhausen sono studi che a livello grafico affrontano l’architettura in modi davvero unici e illuminanti. Anche l’artista digitale Mike Winkelmann, noto ai più come Beeple, rappresenta ogni giorno nuovi scenari retro-futuristici surreali. Definirei le sue immagini come un mix of Blade Runner, Akira e Dr. Suess (anch’egli fonte di grande ispirazione). Tutti questi artisti hanno ampiamente influenzato il mio lavoro e la mia immaginazione con le loro idee + affascinante immaginario.
Artmood: Quando lavori, preferi il silenzio o ascoltare musica? Quale?
Eric: Mi serve la musica per creare qualcunque cosa, mi aiuta a concentrarmi – è come se la musica sbloccasse / allentasse / calmasse / emozionasse la mia mente, tutto contemporaneamente. Tra i maggiori artisti che amo ascoltare vi sono i Radiohead, Yppah, Moderat, Daughter, e The National.
Artmood: Qual è l’azione più provocatoria/coraggiosa/originala che hai compiuto da fotografo/architetto?
Eric: Quando mi sono liberato dai limiti e dai condizionamenti e ho iniziato a creare per me stesso. Fu assolutamente liberatorio lasciar andare la paura che non fosse ben accetto o valido o bello. Mi sono dovuto ricordare che riguardava solo me e che si trattava della mia personale ricerca creativa. Avrei voluto imparare prima a smettere di cercare di creare per quello che ero convinto gli altri volessero da me.
Artmood: Hai un motto o una citazione preferita a cui pensi spesso?
Eric: “Se avete costruito castelli in aria, la vostra opera non deve andar perduta; è proprio lì che dovrebbero essere. Ora mettetevi sotto le fondamenta.” – Henry David Thoreau, Walden.
Artmood: Internet ha influenzato la tua vita di artista? E che cosa può offrire al tuo lavoro?
Eric: Ho difficoltà a pensare alla mia vita da artista senza Internet, non sarebbe nemmeno esistita. Ero stato educato a essere molto protettivo nei confronti di tutto ciò che creavo, ma presto ho imparato ad apprezzare la comunità di artisti + creativi che ho scoperto sui social media. Instagram è stato particolarmente efficace nel connettermi, nell’esplorare e nell’incoraggiarmi a spingermi oltre nell’atto creativo, oltre a farmi diventare più aperto nel voler condividere la mia opera con il mondo. Nonostante le barriere fisiche o le distanze, internet ci regala una vicinanza digitale universale; qeusta accessibilità è un’enorme fonte di ispirazione e una piattaforma preziosissima per continuare a condividere la mia opera con il mondo.